Il Medico Santo
La famiglia Moscati proveniva da S. Lucia di Serino, piccolo paese campano in provincia di Avellino. Qui nacque, nel 1836, Francesco, padre del futuro Santo, il quale dopo essersi laureato brillantemente in giurisprudenza, divenne giudice al Tribunale di Cassino, Presidente del Tribunale di Benevento, Consigliere di Corte d'Appello, prima ad Ancona e poi a Napoli.
A Cassino, Francesco incontrò e sposò Rosa De Luca dei Marchesi di Roseto, la quale diverrà madre di nove bambini di cui Giuseppe sarà il settimo. Il padre portò spesso la sua famiglia nel paese natio durante i periodi di vacanza e di riposo dal lavoro. In alcune lettere, Giuseppe fa riferimento al paesello e alle gioie che suscitava quel luogo semplice e a stretto contatto con la natura. La famiglia si trasferì da Cassino a Benevento nel 1877 in seguito alla nomina di Francesco Moscati a Presidente del Tribunale Beneventano. I Moscati alloggiarono per un primo periodo in Via S.Diodato nelle vicinanze dell’ospedale Fatebenefratelli, e si trasferirono in un secondo momento in Via Porta Aurea: il 25 luglio 1880 nel palazzo Andreotti nacque Giuseppe Moscati. Egli ricevette nello stesso luogo il battesimo, 6 giorni dopo la sua nascita (31 luglio), da Don Innocenzo Maio. Intanto il padre, promosso consigliere di Corte d’Appello, si trasferisce nel 1881 ad Ancona con la famiglia. Nel 1883, dopo la morte dei fratelli Domenico e Alfonso (a causa del terremoto di Casamicciola del 28 luglio), Francesco si recò in pellegrinaggio con i suoi cari a Loreto. Giuseppe ricevette quindi i primi esempi di vita cristiana dal padre, persona dedita al lavoro ma anche alla cura dello spirito. Nel 1884 Francesco Moscati, trasferito alla Corte d’Appello di Napoli, si stabilì con la famiglia a Via S.Teresa al Museo,83. Più tardi i Moscati passeranno a Port’Alba, Piazza Dante e infne a Via Cisterna dell’Olio, 10. L’8 dicembre del 1888 “Peppino” ricevette la prima comunione nella Chiesa delle Ancelle del Sacro Cuore da mons. E. Marano. In questa chiesa i Moscati incontravano sovente il Beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei. Accanto alla chiesa viveva Caterina Volpicelli, poi Santa, alla quale la famiglia era spiritualmente legata. San Giuseppe Moscati Ragazzo Nel 1889, Giuseppe si iscrisse al ginnasio presso l'Istituto Vittorio Emanuele a Piazza Dante. Egli dimostrò sin da ragazzo il suo amore per lo studio, riuscendo a catturare sia l'attenzione dei compagni sia la stima dei professori nel rispetto dei solidi ideali cristiani. Consegui la maturità nel 1894 con ottimi voti, ottenendo ogni anno lodi dagli insegnanti. Nel frattempo, nel 1892, iniziò ad assistere il fratello Alberto infortunatosi seriamente per una caduta da cavallo durante il servizio militare: da questo episodio cominciò a maturare la sua passione per la medicina. Dopo gli studi liceali si iscrisse, nel 1897, alla Facoltà di Medicina; il padre lasciò libera scelta ai figli i quali seguirono liberamente le loro inclinazioni: Peppino optò per la Medicina conoscendone le difficoltà, ma nell'ottica di considerare l'attività del medico come un sacerdozio. Francesco Moscati morì nello stesso anno, colpito da emorragia cerebrale. Il 21 dicembre si spense dopo aver partecipato alla Santa Messa nella chiesa dell'Arciconfraternita dei Pellegrini. Giuseppe ricorda il dolore di quel giorno in alcune lettere. Da quel momento Gennaro, primogenito della famiglia, si sostituì alle cure della casa, e verso di lui Giuseppe mostrerà sempre profondo rispetto. Nel 1900, precisamente il 3 marzo, distaccandosi completamente dalla rivolta proletaria del 1898 che scoppiò nelle principali città italiane, Giuseppe ricevette la cresima da mons. Pasquale De Siena. La sua fermezza di carattere si dimostrò più forte delle provocazioni dell'insurrezione. Medico, ricercatore, insegnante Il 4 agosto 1903 si laureò a pieni voti con una tesi sull'urogenesi epatica, lavoro che gli valse anche il diritto di stampa. Dopo pochi mesi si presentò ai concorsi per assistente ordinario e per coadiutore straordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili, superando entrambe le prove. Si impiegò all'Ospedale degli Incurabili dove rimase per 5 anni. Il 2 giugno 1904 un altro lutto colpì la famiglia: si spense il fratello Alberto. Il trauma cranico riportato in seguito alla caduta da cavallo ebbe la meglio su di lui; questa perdita segnò profondamente Giuseppe il quale era molto legato al fratello. La sua giornata fu sempre molto intensa: si alzava presto al mattino per recarsi a visitare gratuitamente gli indigenti dei quartieri spagnoli prima di prendere servizio in ospedale per il lavoro quotidiano, e di visitare al pomeriggio i malati nel suo studio privato. La dedizione per gli ammalati non sottrasse mai il tempo allo studio e alla ricerca medica che perseguì attuando un equilibrio fra scienza e fede. La sua partecipazione umana ai problemi dei pazienti, unita alle competenze mediche, si espresse con un atteggiamento riassunto in queste parole: «Esercitiamoci quotidianamente nella carità. Dio è carità. Chi sta nella carità sta in Dio e Dio sta in lui. Non dimentichiamoci di fare ogni giorno, anzi in ogni momento, offerta delle nostre azioni a Dio compiendo tutto per amore». Moscati, alla madre che, conoscendone la sensibilità, era preoccupata che la sua scelta di iscriversi a medicina l'avrebbe messo a dura prova nel contatto continuo con il dolore, rispose che: "era disposto anche a coricarsi nel letto dell'ammalato". Questo suo impegno fu confermato in seguito dalla assoluta dedizione con cui egli assistette i suoi pazienti, dei quali curò sempre non solo i bisogni del corpo ma anche quelli dell'anima, testimoniando il suo profondo convincimento di fede che la stessa malattia possa essere lenita dal conforto spirituale e religioso. Con lui si manifestò appieno quella umanizzazione della medicina che, proprio negli anni in cui egli si trovò a operare, sembrava risentire invece di un'eccessiva scientificità, che comportava un certo distacco della figura del medico dal paziente, quasi come se, per affermare le proprie competenze professionali, basate sulla razionalità e sullo zelo scientifico delle nuove acquisizioni in campo medico, fosse più importante "risolvere la malattia" piuttosto che occuparsi del malato in sé. Moscati, invece, anticipò con il suo comportamento quello che è oggi considerata nell'esercizio della medicina la condizione necessaria ed essenziale per occuparsi del malato, inteso non più come semplice portatore di una malattia da guarire, ma come persona che soffre e a cui bisogna perciò riconoscere pari dignità nella sua sfera fisica e in quella emotiva spirituale, con una presa in carico totale dei suoi bisogni. Nell'aprile del 1906, mentre il Vesuvio iniziò ad eruttare ceneri e lapilli su Torre del Greco, mettendo in pericolo un piccolo ospedaletto, succursale degli Incurabili, si recò prontamente sul posto, contribuendo a mettere in salvo gli ammalati, poco prima del crollo della struttura. Nel 1908, dopo aver superato il concorso di assistente ordinario per la Cattedra di Chimica Fisiologica, iniziò a svolgere attività di laboratorio e di ricerca scientifica nell'Istituto di Fisiologia. Nel 1911 un'epidemia di colera funestò Napoli ed egli fu chiamato a svolgere la sua opera di ricerca dall'Ispettorato della Sanità Pubblica, presso la quale presentò una relazione sulle opere necessarie per il risanamento della città, in parte condotte a compimento. Molte delle opere da lui prospettate furono eseguite ed egli fu anche proposto per la libera docenza in chimica biologica. A trentun'anni il dottore vinse il concorso di Coadiutore negli Ospedali Riuniti (posto ambito da medici di tutta Italia), facendo stupire tutta la commissione grazie alla sua eccellente preparazione. Nello stesso anno, gli fu conferita la libera docenza in Chimica Fisiologica, su proposta del professor Antonio Cardarelli, da sempre ammirato per la preparazione del giovane medico, e iniziò e continuò ininterrottamente l'insegnamento d'indagini di laboratorio applicate alla clinica e di chimica applicata alla medicina con esercitazioni e dimostrazioni pratiche secondo programmi approvati dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Sempre nel 1911 Moscati fu inviato dal Prof. Gaetano Rummo ad essere corrispondente per l'inglese e il tedesco di "La riforma Medica" da lui fondata prima come quotidiano, poi come settimanale e poi come quindicinale. Per vari anni fino al 1917 fu segretario di redazione della rivista Michele Landolfi. Fu anche socio della Reale Accademia Medico-chirurgica e direttore dell'Istituto di Anatomia Patologica. Era stimato dai giovani medici in tirocinio che lo seguivano durante le visite ai pazienti. Insegnò all'Ospedale degli Incurabili dal 1911 al 1923, divenendo un modello di vita insostituibile per i suoi allievi. Inoltre, sempre nel 1911, partecipò al Congresso internazionale di fisiologia tenutosi a Vienna, approfittando dell'occasione per visitare anche Budapest. Egli si recò nelle strutture ospedaliere più interessanti per confrontarle con quelle italiane. La notte del 25 novembre 1914 la madre, affetta da diabete, morì. Prima di spirare ella disse ai figli: Figli miei, mi fate morire contenta. Fuggite sempre il peccato, che è il più grande male della vita; Giuseppe ricorderà sempre queste parole. Quando successivamente nel gennaio 1922 viene sperimentata l'insulina, egli sarà tra i primi ad usarla a Napoli e a organizzare un gruppo di persone per la cura del diabete. Nonostante la grande sofferenza provocata dalla perdita della cara madre, il Moscati chiude l'anno con una frase scritta nel suo diario il 31 dicembre: Sia fatta la volontà di Dio!. Allo scoppio della prima guerra mondiale presentò domanda di arruolamento volontario, ma la domanda venne respinta in quanto la sua opera fu giudicata necessaria in corsia, agli Incurabili, per prestare soccorso e conforto spirituale ai soldati feriti di ritorno dal fronte. Ecco che venne nominato Direttore del reparto militare dal 1915 al 1918. In questo periodo visitò circa 3000 soldati e fu per loro bravo medico ma anche bravo consolatore. Nel 1916 supplì il Prof. Malerba nel corso ufficiale di chimica fisiologica e nello stesso tempo gli fu fraternamente vicino durante la lunga malattia preparandolo all'incontro col Signore. Un anno dopo (1917), sostituì il prof. Bottazzi nell'insegnamento di chimica clinica. Sempre nel 1917 rinunziò alla cattedra universitaria e all'insegnamento, per continuare il lavoro in ospedale e restare accanto agli infermi ai quali era molto legato. Il Consiglio d'Amministrazione dell'Ospedale Incurabili lo nominò primario nel 1919, e il 2 maggio 1921 il Prof. Giuseppe Moscati inviò al Ministero della Pubblica Istruzione la domanda per essere abilitato per titoli alla libera docenza in Clinica Medica Generale; il 6 giugno 1922 la Commissione nominata dal Ministero esaminò i titoli e lo ritenne idoneo a conseguire tale libera docenza e tenuto conto del suo alto valore scientifico lo esonerò all'unanimità dalla discussione dei lavori presentati, dalla lezione e dalla prova pratica. Il 18 luglio 1923 compì un viaggio ad Edimburgo per il Congresso internazionale di fisiologia, passando per Roma, Torino, Parigi, Londra, Lourdes. Rientrerà a Napoli il 10 agosto. Il prof.Moscati dimostra di essere un amante della conoscenza, dell'arte e della cultura. Ama ammirare paesaggi suggestivi, lodando le bellezze della natura con cui viene a contatto. Inoltre manifesta anche una certa nostalgia durante i suoi viaggi per la sua città prediletta, cioè Napoli. Numerose sue ricerche furono pubblicate su riviste italiane ed internazionali, tra le quali le ricerche pionieristiche sulle reazioni chimiche del glicogeno. La concezione del rapporto tra scienza e fede Ebbe importanti successi come medico e ricercatore, dedicò la sua attività ed in generale la sua vita alla carità, all'assistenza dei sofferenti, anche nei quartieri più poveri ed abbandonati della città, curandoli gratuitamente ed anche aiutandoli economicamente. Egli sosteneva fortemente che non doveva esserci contraddizione o antitesi tra scienza e fede: entrambe dovevano concorrere al bene dell'uomo. Moscati ebbe sempre come punto di riferimento la fede e cercò in ogni modo di non essere soltanto un medico del corpo per i suoi pazienti ma anche un medico dell'anima. Vedeva l'Eucarestia come centro della sua vita e, inoltre, era fortemente legato al culto della Vergine. Si preparava durante l'anno alle festività della Madonna anche digiunando nei giorni in cui ciò era richiesto. In questo cercava di coinvolgere tutti coloro che incontrava, usando la bontà come sua arma migliore. "Il Prof.Moscati" afferma il dott. Vincenzo Adinolfi "non coltivava le scienze mediche per scopo commerciale , ma per puro sollievo e conforto al suo nobile spirito, così come traeva conforto dal culto religioso: con questo intendimento egli soccorreva più il povero che il ricco, di cui non gli faceva gola l'oro, ma lo confortava più la benedizione di un povero sofferente, della quale si gloriava come della benedizione del Cielo". Inoltre egli, anche in età giovanile, grazie alla sua elevata spiritualità riuscì a evadere l'attrazione dei sensi e tutto ciò che avrebbe potuto condurre al peccato, scegliendo per sé la castità. Tanto avrebbe potuto avere con la sua fama, ma si allontanò sempre dagli agi e dalle ricchezze, prediligendo uno stile di vita semplice e dedicandosi pienamente ai bisognosi. La sua concezione del rapporto tra fede e scienza ben si riassume in un suo pensiero: «Non la scienza, ma la carità ha trasformato il mondo, in alcuni periodi; e solo pochissimi uomini son passati alla storia per la scienza; ma tutti potranno rimanere imperituri, simbolo dell'eternità della vita, in cui la morte non è che una tappa, una metamorfosi per un più alto ascenso, se si dedicheranno al bene.» Morte e canonizzazione Il 12 aprile 1927, dopo aver preso parte alla Messa, come ogni giorno, ed aver atteso ai suoi compiti in Ospedale e nel suo studio privato, verso le 15 si sentì male, e spirò sulla sua poltrona. Aveva solo 47 anni e 8 mesi. Egli era preparato alla sua morte e la guardava con la serenità dei giusti: spirò alla luce della fede cristiana. La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, riassunta nelle parole "è morto il medico santo". Alle esequie vi fu una notevole partecipazione popolare. Soprattutto i poveri piansero sinceramente la perdita del loro più caro benefattore. Il 16 novembre 1930 i suoi resti mortali furono traslati dal Cimitero di Poggioreale alla Chiesa del Gesù Nuovo, racchiusi in un'urna bronzea, ad opera del Prof. Amedeo Garufi. Il pontefice Paolo VI lo proclamò Beato il 16 novembre 1975. Fu proclamato santo il 25 ottobre 1987 da Giovanni Paolo II. La sua festa liturgica si celebra il 16 novembre. Il miracolo per la canonizzazione Ai fini della canonizzazione, la Chiesa cattolica ritiene necessario un secondo miracolo, dopo quello richiesto per la beatificazione: nel caso di Giuseppe Moscati, ha ritenuto miracolosa la guarigione di Giuseppe Montefusco, ammalato di leucemia, avvenuta nel 1979. Giuseppe Montefusco, nato a Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, il 15 febbraio 1958, all'inizio del 1978 cominciò ad accusare disturbi a causa dei quali, il 13 aprile dello stesso anno, fu ricoverato all'ospedale Cardarelli di Napoli, dove gli fu diagnosticata una leucemia acuta mieloblastica. Mentre l'ammalato non rispondeva alle terapie ed era considerato senza speranze di guarigione, sua madre sognò una notte la foto di un medico in camice bianco: dopo essersi consultata con il parroco si recò alla Chiesa del Gesù Nuovo, dove riconobbe nella foto di Giuseppe Moscati il medico visto in sogno. Furono rivolte allora al Moscati, allora beato, fervide preghiere collettive e il Montefusco, nel giugno 1979, guarì perfettamente, interrompendo ogni cura e riprendendo il lavoro di fabbro. Il caso fu sottoposto alla Congregazione per le Cause dei Santi che, il 27 marzo 1987, promulgò il decreto sul miracolo, confermando "La modalità della guarigione relativamente rapida, completa e duratura, non spiegabile secondo le conoscenze mediche". Il 25 ottobre 1987, in Piazza San Pietro, Papa Giovanni Paolo II canonizzò Giuseppe Moscati; alla cerimonia era presente anche Giuseppe Montefusco, che in quell'occasione donò al Papa un volto di Gesù in ferro battuto, da lui realizzato. fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Moscati |
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